venerdì 19 giugno 2015

L'ultima volta

https://m.youtube.com/watch?v=shbootuwLVs


Non sapere quando sarà l'ultima volta in cui vedi una persona mi ha sempre urtato tantissimo.
Ma tanto da morire.
Mi urta, mi urta, mi urta.
"È l'altro lato della medaglia."
Sì, va bene, ho capito, ma a me, caro Destino, non piace comunque.
Gli addii, per quanto dolorosi possano essere, per me sono necessari. Basta una parola, talvolta uno sguardo, ma io lo devo avere quello sguardo. Lo devo imprimere nella mia mente e devo ripensarci quando di notte pioverà e io non riuscirò a dormire.
Deve tormentarmi, deve rincorrermi senza darmi un minuto di tregua. Poi, con calma, si cancellerà da solo. Un giorno non me lo ricorderò più, ma saprò che un ultimo saluto c'è realmente stato, non è stato solo frutto della mia fin troppo fervida immaginazione.

Un addio, tra me e lui, non c'è mai stato. Ci sono stati insulti, ritorni, scuse, ma l'ultima parola non abbiamo mai avuto il coraggio di pronunciarla. Forse faceva più paura un ammasso di lettere pronunciate faccia a faccia del perdersi realmente, ma alla fine le parole le avevamo consumate tutte tranne una, la più importante, quella definitiva.
Ma di definitivo tra di noi non c'è mai stato nulla, nemmeno nelle mie fantasie più ottimistiche.
Alla fine è rimasta solo stanchezza, la mia, e frustrazione, la sua.
Però continuo a credere che un finale sarebbe dovuto esserci, lo meritavamo entrambi. Una resa dei conti, un ultimo pianto da parte mia, un litigio senza più amore (anche se dove sia andato a finire tutto quell'amore che ci legava io ancora non l'ho capito).

Dunque, mi vedo costretta ad inventare un'ultima volta in cui ho visto l'unico cretino che ho amato.
Ne ho bisogno, capite? Devo credere che sia avvenuta, che non sia rimasto altro da dirsi e da tentare, che non ci sia nemmeno più rabbia, ma solo infinita tristezza.

Gli addii, nei film, avvengono sempre nei luoghi dell'anima, ma noi ci saremmo incontrati nel bar dove ci siamo rimessi insieme dopo il mio viaggio a Londra. Lo avrei trovato lì ad aspettarmi, al solito tavolo, con la camicia bianca e i jeans scuri. Non sarei entrata subito, prima avrei ricontrollato il trucco e i capelli, poi avrei osservato il suo sguardo perso a contare i minuti sull'orologio. Si sarebbe alzato, stufo del mio ritardo e impaurito, ma in quel momento io mi sarei seduta di fronte a lui, più bella e sicura che mai. Avrei ordinato un tè al limone prima di rivolgergli la parola. Lui avrebbe studiato in silenzio ogni mia mossa, come ha sempre fatto.
Infine, avrei detto tutto ciò che per mesi ho trattenuto e ingoiato. Avrei usato un tono freddo e distaccato, ma poi inevitabilmente sarebbe scesa una lacrima che avrebbe rovinato la mia maschera.
Lui l'avrebbe notata, mi avrebbe chiesto scusa per l'ennesima volta, forse addirittura di riprovarci, ma io gli avrei urlato di non cercarmi mai più, di dimenticare il mio nome e me ne sarei andata, lasciandolo lì, solo e frastornato, col mio profumo ancora nell'aria.

martedì 16 giugno 2015

Notte prima degli esami


"Alle 4 davanti a scuola."

Come i pini di Roma la vita non li spezza

Alle quattro il cielo prometteva di essere nostro complice, perciò sono uscita con un vestito estivo e mi sono diretta a scuola col cuore in gola, perché non è mai facile tornarci, neppure quando non dovrebbe più fare paura. 

Forse cambiati, certo un po' diversi
Ma con la voglia ancora di cambiare

Ma eccoci, un'ora dopo, ancora tutti insieme davanti all'entrata, come il primo giorno, a perdere tempo e fare grandi progetti per il futuro, evitando di pensare a quel che ci attende tra poche ore proprio in quella prigione grigia.
Il mio compagno di banco fuma, è pensieroso oggi, gli passo il disegno che lo ritrae e si fa due risate.
"La matematica non sarà mai il tuo mestiere, ma se smetti di disegnare ti vengo a prendere a schiaffi."
Adesso non voglio pensare al futuro. Godiamoci questo momento anche se ho lo stomaco sottosopra da ieri notte, non ho dormito e non dormirò nemmeno stasera, lo so. Dovrei urlarle queste parole che mi ribollono dentro, ma mi limito ad annuire e a continuare ad ascoltare le teorie sui banchi da occupare domani mattina.

Mi chiedono di te ed è buffo il modo in cui riesco a risultare credibile mentre rispondo che va tutto bene, abbiamo trovato il nostro equilibrio.
Eppure è più di un mese che non ti sento, ma una parte di me spera ancora che tornerai sui tuoi passi e mi scriverai stanotte per dirmi che ce la farò.

Penso che questo blog sia stato per troppo tempo una lunga lettera d'amore rimasta chiusa nella busta. 
Adesso, però, sono rimasta solo io e, nonostante non sia facile ammetterlo, questa versione di me è di gran lunga migliore di quella di qualche mese fa.

Ma questa notte è ancora nostra

Venditti, non lo so se avevi ragione tu, ma questa notte mi pare solo mia e vorrei piangere e strappare via questo dolore che cerco di sopprimere anche se non ne ho più nemmeno la forza.

Se l'amore è amore


Allora è meglio sedersi in panchina, congelare sotto la pioggia i sentimenti coi vestiti fradici e sperare che tutto questo finisca in fretta.

lunedì 1 giugno 2015

Le cose che non ti ho detto

Stasera non vi racconto una mia storia, lascio parlare (o meglio, scrivere) un'amica che, in pochi mesi, ha conquistato un posto speciale nel regno. Chiara, questo racconto, sul suo blog non lo vuole, ma è così bello che non posso fare a meno di prestarle il mio piccolo spazio virtuale.
Buona lettura, 
R.

Avrei voluto dirti tante cose, avrei voluto urlartele in faccia in una sera d'estate, arrabbiata: arrabbiata e ferita e con il volto solcato dalle lacrime. Lacrime amare, che sanno di veleno: per tutto ciò che non c'è stato e che poteva esserci, ma soprattutto per quello che c'era e non è mai stato chiarito.
Finiamola ora, finiamola qui, una volta per tutte: insceniamo il duello e mettiamo un punto.
Tu ed i tuoi amati punti, i paletti da non oltrepassare, gli ostacoli da frapporre, tutti andati a puttane perchè non hai mai avuto le palle di dire basta e di tirarti indietro, non hai mai avuto le palle di fermarti e chiudere, hai sempre aspettato lo facessero gli altri, perchè non fare niente è più comodo e più sicuro di scegliere da che parte stare.
Così siamo andati avanti per mesi e settimane, perchè tu non volevi ammettere, ma nemmeno negare, e lasciavi me con le mani legate dall'insicurezza di un passo falso. Perché in tutto questo tempo quello che si muoveva eri proprio tu, nell'eterna indecisione, un passo avanti e due indietro, perchè desiderare era peccato, ma osare faceva gola. E così ero diventata un semplice burattino nelle mani di un burattinaio inesperto, in balìa del vento e degli umori, che non sapeva tagliare quei fili che mi tenevano legata.
Ero un burattino ingenuo, uno stupido piccolo burattino ingenuo che sottostava alle tue condizioni e te le vedeva infrangere senza capire cosa stessi facendo.
Eppure mi bastava. Eri tu e tutta questa altalena mi andava  bene perchè mi impediva di pensare. Ti ho amato e ti ho odiato come un cane ama e odia il proprio padrone quando lo picchia. Ti ho amato e ti ho odiato guardandoti negli occhi e rimanendo in silenzio, stoica, come mi è stato insegnato a fare "perchè sei una donna e puoi serbare rancore per tutta la vita", ma io non voglio rancore, voglio fartelo sentire tutto quello che mi porto dentro.
Avrei continuato ad urlarti addosso vomitando ogni parola, ogni delusione che non avevo osato ammettere. Avrei urlato così forte da farti tremare, da farti rimanere immobile, colpito a morte dalle mie parole. Avrei urlato così forte da non avere più voce e allora avrei sibilato che sei solo un debole, uno di quelli che si nascondono dietro agli altri, come un bambino si nasconde tra le sottane della madre. È così facile nascondersi dietro a qualcosa di così grande, "è detto dall'alto e noi dobbiamo sottostare", ma questa è solo una scusa per i deboli, per quelli che non lottano e si accontentano. Ti fai forte delle tue certezze ignorando il loro essere solo castelli di carte e mi basta un soffio per mandarle giù e farti cadere davanti a me, in ginocchio. Tocca a me, "razza rara di testarda", l'ingrato compito di porre fine a tutto, perchè sei troppo vigliacco per ammettere di non saperti prendere delle responsabilità. Tocca a me chiudere i conti e prometterti di non tornare. Non tornerò nelle fredde notti d'inverno carica di tristezza e nostalgia, non tornerò.
Ferita e sanguinante mi sarei allontanata da quel confronto, dandoti le spalle, senza più nessun rancore, senza rabbia, senza odio, carica dell'unico sentimento rimasto: l'indifferenza.