giovedì 20 aprile 2017

4. Scacco matto

Dicevi che si piange per le cose importanti, allora credo che tu lo sia stato - e sei ancora - più di quel che pensi, visto che è passato un mese e sto male come il primo giorno. Non so nemmeno più che cosa dirti, non mi importa farti pena. Mi basta avere un contatto, seppure minuscolo, con te, una traccia che mi dica che ci sei veramente stato, che non era tutta una mia fantasia, che queste lacrime un giorno finiranno, ma ora hanno valore, almeno per me. Vorrei raccontarti tutte le cose che sto facendo, vorrei dirti che ti odio, ma poi mi rendo conto che non è vero e vorrei dormire, ma non mi è concesso. Non soffrivo di insonnia da due anni, sai? Non credo di avertelo mai detto, ma non lo ritenevo un capitolo della mia vita importante. Ora però mi pare di vedere tante somiglianze tra quello e questo periodo, dunque te ne parlerò brevemente. Era l'anno della mia maturità, di mille cambiamenti, di nuove amicizie arrivate a sostituire quelle vecchie ormai consumate da segreti e bugie. Era l'anno in cui il sonno era diventato superfluo perché non ne avevo il tempo. Era l'anno in cui avrei provato un dolore inspiegabile, il più grande di tutta la mia vita, di cui ancora oggi non mi capacito del tutto. Eppure, sono sopravvissuta. E siccome non voglio tornare al buio di quei giorni, sto facendo di tutto per tenermi impegnata il più possibile. Sto studiando come una matta e quando mi viene da piangere - come in questo momento - mi fermo, mi sdraio a letto e penso che andrà meglio, prima o poi. Ma è passato un mese e non va affatto meglio e ho tante domande a cui tu non rispondi e non risponderai e io so solo che mi manchi. E non è colpa delle canzoni tristi, non è nemmeno questione di isolarsi perché non ne sento il bisogno attualmente. Il vero problema è che in quel mare di persone che ogni giorno mi circonda, non posso fare a meno di cercare te costantemente. Ironia della sorte, quando poi ti ho visto, all'angolo della strada verso la mensa, mi sono voltata e sono scappata senza tornare indietro. Eri tu, lo so bene. Stavo scambiando chiacchiere di circostanza con due ragazzi che non vedevo da tanto tempo, ero tranquilla, pur essendo in territorio di ingegneri, nel tuo territorio. Poi sei comparso tu e in quel momento è sembrato un segnale divino simile al volo degli uccelli in senso contrario. Ho cominciato ad agitarmi e ho seguito quel che mi comandava di fare l'istinto: sono scappata via prima che le lacrime facessero capolino per l'ennesima volta, prima di mostrarmi fragile ancora una volta. Avevo paura e avevo mille pensieri rumorosi in testa, ma il più spaventoso di tutti era, forse, anche il più banale. Avevo paura dei tuoi occhi. Avevo paura di guardarti negli occhi e non vedere più un briciolo della persona di cui ero (sono?) innamorata e non sono ancora pronta a sostenere quello sguardo. 

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