Per questo ho pensato bene di tagliare la corda e darmi alla latitanza.
Ho comprato una graphic novel di un giapponese.
Poi ho camminato per Palestro fantasticando sugli inquilini dei palazzi di piazza Eleonora Duse.
La prima sera in cui sono uscita con dei compagni di corso siamo finiti a bazzicare lì in zona e ad arrampicarci per osservare meglio i fenicotteri in un giardino.
Quella sera me la ricorderò per sempre, non avevo mai visto quel tipo di sontuosità a Milano prima e non avevo mai visto la città attraverso gli occhi dei milanesi.
Ieri sera, invece, ho trovato una perla nel mio drink, ma poi ho commesso il fatale errore di lasciare che il mio accompagnatore pagasse per me e, come direbbe mia madre, questa storia porterà solo lacrime.
Sai che novità.
Ci siamo salutati alla fermata del tram come ogni volta, come se dovessimo rivederci l'indomani, invece lui ha già lasciato la città ed io lo farò nei prossimi giorni, ma ancora non ci credo.
Osservo gli scatoloni dal letto con aria incredula.
Non riesco ad evitare di pensare all'unica persona di cui realmente sento la mancanza e che non posso e non voglio riavere accanto. Ma d'altronde è sempre così.
Passando col tram davanti a casa sua ieri sera non ho potuto fare a meno di domandarmi se fosse ancora in città.
Che luogo bizzarro il politecnico. Quando uscivamo insieme era facile incontrarsi casualmente tra una lezione e l'altra. Adesso sembra impossibile trovarlo in mezzo alla folla di ingegneri che occupa la biblioteca di Architettura. Continuo a ripetermi che è andato tutto per il verso giusto, che non eravamo destinati, ma la verità è che sono esausta.
Voglio solo tornare a casa mia.