https://m.youtube.com/watch?v=shbootuwLVs
Non sapere quando sarà l'ultima volta in cui vedi una persona mi ha sempre urtato tantissimo.
Ma tanto da morire.
Mi urta, mi urta, mi urta.
"È l'altro lato della medaglia."
Sì, va bene, ho capito, ma a me, caro Destino, non piace comunque.
Gli addii, per quanto dolorosi possano essere, per me sono necessari. Basta una parola, talvolta uno sguardo, ma io lo devo avere quello sguardo. Lo devo imprimere nella mia mente e devo ripensarci quando di notte pioverà e io non riuscirò a dormire.
Deve tormentarmi, deve rincorrermi senza darmi un minuto di tregua. Poi, con calma, si cancellerà da solo. Un giorno non me lo ricorderò più, ma saprò che un ultimo saluto c'è realmente stato, non è stato solo frutto della mia fin troppo fervida immaginazione.
Un addio, tra me e lui, non c'è mai stato. Ci sono stati insulti, ritorni, scuse, ma l'ultima parola non abbiamo mai avuto il coraggio di pronunciarla. Forse faceva più paura un ammasso di lettere pronunciate faccia a faccia del perdersi realmente, ma alla fine le parole le avevamo consumate tutte tranne una, la più importante, quella definitiva.
Ma di definitivo tra di noi non c'è mai stato nulla, nemmeno nelle mie fantasie più ottimistiche.
Alla fine è rimasta solo stanchezza, la mia, e frustrazione, la sua.
Però continuo a credere che un finale sarebbe dovuto esserci, lo meritavamo entrambi. Una resa dei conti, un ultimo pianto da parte mia, un litigio senza più amore (anche se dove sia andato a finire tutto quell'amore che ci legava io ancora non l'ho capito).
Dunque, mi vedo costretta ad inventare un'ultima volta in cui ho visto l'unico cretino che ho amato.
Ne ho bisogno, capite? Devo credere che sia avvenuta, che non sia rimasto altro da dirsi e da tentare, che non ci sia nemmeno più rabbia, ma solo infinita tristezza.
Gli addii, nei film, avvengono sempre nei luoghi dell'anima, ma noi ci saremmo incontrati nel bar dove ci siamo rimessi insieme dopo il mio viaggio a Londra. Lo avrei trovato lì ad aspettarmi, al solito tavolo, con la camicia bianca e i jeans scuri. Non sarei entrata subito, prima avrei ricontrollato il trucco e i capelli, poi avrei osservato il suo sguardo perso a contare i minuti sull'orologio. Si sarebbe alzato, stufo del mio ritardo e impaurito, ma in quel momento io mi sarei seduta di fronte a lui, più bella e sicura che mai. Avrei ordinato un tè al limone prima di rivolgergli la parola. Lui avrebbe studiato in silenzio ogni mia mossa, come ha sempre fatto.
Infine, avrei detto tutto ciò che per mesi ho trattenuto e ingoiato. Avrei usato un tono freddo e distaccato, ma poi inevitabilmente sarebbe scesa una lacrima che avrebbe rovinato la mia maschera.
Lui l'avrebbe notata, mi avrebbe chiesto scusa per l'ennesima volta, forse addirittura di riprovarci, ma io gli avrei urlato di non cercarmi mai più, di dimenticare il mio nome e me ne sarei andata, lasciandolo lì, solo e frastornato, col mio profumo ancora nell'aria.