lunedì 23 febbraio 2015

22 febbraio 2015

"Aveva proprio ragione il professor Gagliano quando diceva che i giorni indimenticabili della vita d'un uomo sono cinque o sei in tutto, gli altri fanno solo volume."



Questa data la ricorderò per sempre.

Ho aspettato così a lungo il concerto dei Kooks da non rendermi ancora del tutto conto di averli finalmente visti dal vivo, a un metro e mezzo da me.
Non solo ho avuto la fortuna di essere nella loro stessa stanza per un paio d'ore, ma sono persino riuscita ad arrivare in prima fila per un grandissimo colpo di fortuna.

Ora so che il karma gira. I giorni belli arrivano, illuminano di una luce nuova tutto quello che li ha preceduti e lasciano un segno indelebile che servirà da promemoria per il futuro.

Non ero tanto felice da troppo tempo ormai e adesso mi sembra di aver vissuto un brutto sogno in questi ultimi due mesi, ma è infine arrivata la mia rivincita.




La mia storia si è intrecciata con quella dei Kooks circa quattro anni fa, in modo casuale e disordinato.

"She moves in her own way" è stata la loro prima canzone a colpirmi e lo ha fatto come un getto d'acqua gelida all'improvviso.
Più l'ascoltavo e più credevo che il mio essere diversa dalla massa non fosse un reale problema, come in quel periodo ero convinta.
Frequentavo il ginnasio e cercavo di saltarci fuori, ma la vita alle superiori sembrava troppo complicata e più di una volta ho pensato di non esserne all'altezza.
Mi ripetevo continuamente: "Starò bene, passerà." E poi è accaduto. Sono andata avanti e ora sto davvero bene e un po' è merito loro, ne sono convinta.



Il concerto è stato perfetto. Non mi vergogno di ammettere di aver pianto per la gioia, mentre cantavo a squarciagola con Luke.
Non sono mancati i grandi classici della band, da Junk of the heart a Seaside, passando per Naive, tutti alternati in modo meraviglioso alle canzoni dell'ultimo disco.
Luke Pritchard è un frontman sensazionale. Gestisce il palco consapevolemente e non si limita ad eseguire i pezzi, come mi avevano deluso altre band in passato, ma li interpreta con tutto il suo corpo e dimostra di essere un artista completo.
Peter Denton me lo sposerei immediatamente. Ho sempre avuto un debole tremendo per tutti i bassisti, ma dopo averlo visto dal vivo, lui ha rapidamente scalato la classifica fino ad occuparne il podio. 



Hugh Harris è timido, se ne sta in disparte e si concentra per poter trasmettere al pubblico una parte musicale fondamentale per l'intera band. L'ho apprezzato tanto.
Alexis Nunez osserva tutto dalla sua postazione ed è quel tipo di capellone che non si può non amare perchè ha quel sorriso contagioso tipico di molti bambini.




Li ho semplicemente amati. Andate a vederli dal vivo, scateneranno in voi mille emozioni e ne rimarrete affascinati.

Ora me ne torno a progettare di diventare una loro groupie, ciao ciao amici!
R.

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